Ad occhi chiusi nel jazz

Ieri sera mi son goduto un gran concerto al conservatorio di Vicenza. Una big band con repertorio tutto Mingus. Lui, un genio assoluto della musica. Non solo jazz. Loro, degli ottimi musicisti (tra gli altri Carollo, Calgaro e il mio ormai ex maestro, ma tuttora amico Ettore Martin). Quando le cascate di note si sono fermate e mi son ritrovato a passeggiare nella fresca aria che sa già di primavera, la mia attenzione si è focalizzata su un particolare: gli occhi. Suonare è magia corale, gran traffico di sguardi, i musicisti si cercano e si rispondono, semplicemente guardandosi. Nell’improvvisazione questo gioco diventa quasi telepatico. Ma poi ogni musicista si ritrova solo. E allora la musica diventa un’avventura in solitaria, un’immersione, un’apnea in un flusso di qualcosa che il musicista finge di controllare.

Parecchi anni fa ebbi la gran fortuna di ascoltare dal vivo Sonny Rollins. Beh, ricordo bene l’impressione che mi fece quell’etereo vecchietto che non si trascinava il suo ingombrante tenore, ma piuttosto sembrava aggrapparvisi, come ad una boa. E le onde di note che tumultuosamente fuoriuscivano dallo strumento erano quelle stesse onde che sbattevano da una parte all’altra quel povero naufrago e la boa cui disperatamente cercava di rimanere aggrappato.

Non rimane allora che immergersi nel jazz, e lasciarsi trasportare ad occhi chiusi…

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